venerdì 28 ottobre 2011

Palle di sego

Palle di sego - parte prima


L’eurostar di domenica pomeriggio doveva farmi scivolare nel cuore di una città nota e relativamente amata; appena dopo la prima cerchia di mura, superata una macchia di alberi molto belli, avrei riconosciuto la mia casa. Porta Saragozza sarebbe stata il mio arco di trionfo erotico e sentimentale. Invece al mio cospetto si è presentato il niente. Per la precisione il niente infastidito è venuto a prendermi alla stazione e il medesimo niente annoiato e oramai certo di nullificare benissimo anche senza di me ha preparato una cena automatica mettendo assieme patate semi-crude e uova. Come se il formaggio da solo, dispensato senza misura e fregandosene degli effetti sulla liquidità del sangue, possa cementare e risolvere. Ho snocciolato qualche innocuo particolare sulla mia trasferta aziendalese, ma non ha attecchito, finendo tra le briciole. Per la prima volta da che mi ricordi ho trascorso scientemente la notte in nulloteca. C’era da non dormire per cercare una definizione adeguata a tutto questo, ma come al solito il sipario ha prevalso e scambiandoci un paio di scuse non abbiamo neppure fatto l’amore.

Sono anni che cambio città, in cerca di un’aria che mi faccia star meglio e mi suggerisca una nomenclatura appropriata. Ho vissuto in Languedoc, in Vallonia, in Catalogna, in molte città di quella che ancora chiamano Italia, prima che torni l’età dei Comuni, forse la sola condizione politica che siamo in grado di gestire. Porto appresso il mio usuale fagotto, valigie sempre più pesanti che congiurano per maldischiena sempre peggiori e che un marzo o l’altro avranno la forza di pugnalarmi. Il cielo e le architetture cambiano, ma non c’è un solo quartiere in cui mi sia sentito veramente a casa, tranne forse Les Aubes a Montpellier e solo per alcune ore del pomeriggio. Una volta ogni due anni adotto una gatta, ma dopo poco mi rendo conto di spalare merda da una cassettiera senza avere in cambio niente di rilevante. Le fusa appagano principalmente chi le produce. È provvisorio e casuale l’incontro in penombra con un corpicino peloso, il contatto per tutta la lunghezza dello stesso. La mia mano gli scorre sopra, secondo il senso del pelo e al contrario. Va e viene sopra la folta pelliccia persino con competenza. Ma soprattutto Nanà, la gatta di adesso, non è mai troppo propensa alle effusioni: deve esserci molto caldo, naturale o indotto dai sistemi di climatizzazione, oppure molto torpore gattesco perché si verifichi questa pennellata carnale, e lo scambio di piacere epidermico che ne consegue. Per il resto è quasi soltanto una compagnia olografica dotata di coda a banderuola uncinata, che conosce due o tre pose interrogative e sfacciatamente funzionali. Aveva ragione mia madre, ma in un senso diverso da quello che lei intendeva: la differenza la fanno le persone. La farebbero, cioè, se ce ne fossero. Tento in ciascun posto di far prevalere il paesaggio, allora. Mi rivolgo a palazzi ducali, a fossati, ai bordi del cielo punzonato dai tetti. Continuo a salire sui colli che circondano Bologna, città marrone e rossastra che ogni tanto chiamo Lasagna, mischiando affetto domestico e acido disprezzo per tanto spirito borghese che la fa tanto assomigliare a Stoccarda. Proseguo l'opera di autoconvincimento ma la vista non ha senso: l’equivalenza tra i grattaghiaccio dell’Ospedale Maggiore e le torri storte che sopravvivono dentro le mura non potrà mai soddisfarmi.

Sono tornato a lavoro lunedì. La collega antipatica, mia frontaliera di scrivania, ha preso due giorni di ferie: questo è un bene, perché oltre la cornice del monitor del pc non ho scorto per due periodi da otto ore abbondanti ciascuno la sua espressione stretta e purulenta da sfintere. È decisamente bionda, ha due occhi chiari magnifici e taglienti, e il viso coperto di acne. La testa è una pallina inespressiva a fine collo gonfia nel naso, nelle guanciotte e nelle orecchie, carnose come qualunque cosa sporga dal tronco principale che è tuttavia estremamente magro e ben sagomato. Persino eccitante, se preso a solo. Gli orecchini penduli con cui gioca tra le undici e quindici e le undici e ventisette, nel momento di massima indecisione circa il fatto di scendere o meno alla macchinetta del seminterrato, e se una volta scesa cavarne un tronky oppure un kinder bueno, sono piccoli ganci conficcati in un quarto di bue. Le sue frasi preferite sono: è freddo, è caldo, ho sonno, mi brucia un occhio avrò anch'io l'orzaiolo. La cadenza suona marginalmente padana, con le consonanti di inizio parola pronunziate leggere e un volant di cantilena sul finire che oltralpe considererebbero estremamente terrona. Il suo hobby più concreto consiste nel rosicchiare le unghie cominciando dai lati. Si esibisce quasi sempre in un atteggiamento infastidito; adora vedere qualcuno in difficoltà irrisolvibili ma si accontenta anche che semplicemente a qualcuno, anche uno che conosce poco, vadano male le cose. Il Ciao disturbo?, ripetuto a telefono alcune decine di volte al giorno a non più di cinque persone diverse col pretesto di lavorare mi incrina le ossa come mi sottoponessero a un crash-test contro pareti di metallo. Soprattutto il ciao, miagolato e ben ventilato sopra la a. La cosa che mi infastidisce di più è la sua età: ha appena compiuto ventiquattro stupendi anni, e già odia il mondo in questo modo. Il papà deve avergli detto che risulta deliziosa quando fa così e così, e lei lo fa anche con gli altri. È una bimba capricciosa e brutta o bella a seconda della luce e della ritenzione idrica in atto, e che cerca di continuo una relazione superficialmente incestuosa, trasformando prima ciascun maschio che compare all’orizzonte in padre, e solo poi in amante. Riserva particolari attenzioni solo a chi conta qualcosa in azienda: accoglie con ampi sorrisi e conserva il free-press ben piegato sulla scrivania per il quasi quadro - poverino, aspetta una promozione da forse due anni, ma per ora è solo impiegato di settimo livello: si vede che non tiene santi in paradiso - che ci controlla in stanza. Non uscirebbe mai un euro per acquistare un giornale con le stesse notizie. Fa complimenti ad accessori maschili in oro giallo e bianco degni di un boss salentino. Se serve sa trovare bello e elegante persino un abito marrone a due bottoni e scarpe dalla punta quadrata con un bassorilievo floreale profondo mezzo centimetro. Accoglie compiaciuta ma senza mai cedere alla lusinga i complimenti di tutti. Li raccoglie proprio, come se avesse una cassetta, e quando lo fa sembra un ritratto fiammingo. È rigida, intollerante in forme estreme con chi considera poco importante, del tutto priva di ironia. Ride prominendo la testa-palluzza e martellando sulla ah o sulla eh, non più di cinque o sei volte, perché poi stanchezza e soddisfazione si raggiungono neutralizzandosi. Se è il caso poggia al contempo tre polpastrelli delle dita medie di una mano dal polso vezzosamente spezzato appena sotto la fossetta iugulare. Se le fai una domanda esplicita, con un silenzio molto eloquente ti comunica che non voterà mai a sinistra, con la faccia di chi sa che qui, terra rossa un po’ per tradizione un po’ per fede un po’ per convenienza - più o meno in parti uguali -, rischia persino di passare per coraggiosa. Ma se non si ha voglia di innervosirsi è meglio non chiederglielo.

C’è una figura abbastanza ridicola che percorre i nostri corridoi. È un commerciale calabrese, calvo, esile di corporatura, dal muso storto e la camminata disarticolata come se gli avessero montato un paio di ginocchia in più: trascorre le intere giornate a telefono contrattando con i vari fornitori e dannandosi l’anima per uno zeroquattro percento. Dalle sue telefonate si prospettano giorni difficilissimi per la crisi del pomodoro che è uguale al sammarzano ma che l'hanno modificato con una pelle da rinoceronte che quando lo metti sui camion non si rovina neanche se prende fuoco e poi i pompieri ci buttano sopra la polvere e magari ci pisciano ma quello ti dico è perfetto. Oppure, tendendo neanche più di tanto l’orecchio, è possibile sapere dell’olio minerale ucraino finito nelle maionesi di gran marca, ma tanto hanno trovato l’espediente di scriverci omega-3 nelle confezioni nuove, lo mettono bello grande, ti faccio vedere che non se ne accorge nessuno, fra tre mesi chi si ricorda: questo è il marketing vero, che ripulisce. Bravi, bel lavoro. Poi c’è il dramma inusuale del pesto senz’aglio che imprevedibilmente non piace alle donne giovani ma solo a quelle in menopausa perché forse uno degli additivi è un derivato del progesterone ma per ora non diciamo niente, vediamo prima come va e se se ne accorge nessuno. Per non parlare dei condimenti iodati che faticano a esprimersi tra gli scaffali perché il colore verde che hanno scelto per il packaging non evoca abbastanza il senso di tutela della salute, glielo avevo detto a quegli stronzi che la salute o è bianca o è celeste, ma poco, al più bianca con una banda celesta - dice proprio celesta, con la a - sopra, sono ignoranti sono. La congiuntura negativa degli aromi per il pesce che stentano ad affermarsi non tira su il banco del pesce come tutti speravano non è neanche quello argomento da tascurarsi. Né si sa più dove mettere le tonnellate di aceto balsamico prodotto e accumulato da decenni da qualunque micragnoso produttore di vino anche ben fuori la provincia di Modena, qualcuno mormora persino in Slovenia. Ecco perché l’Adriatico fa ‘sta puzza. Sei io ti do il cinque tu devi darmi il tre altrimenti non è possibile, non andiamo d’accordo. Se poi hai contenziosi con le mail, fai come me: rispondi con tutta la cronologia, metti in copia nascosta il tuo direttore e scrivi ti voglio bene. C’è da riderne o sorriderne, di lui e delle novità che porta, a noi che passiamo tutto il santo giorno a imbastire fogli excel con pivot di pivot alla ricerca di un dato veramente sensato. Lei, la mia dirimpettaia, niente, riesce solo a disprezzarlo: è povero anche in proiezioni di lungo termine, abbondantemente sfigato e malpiacente, brutto inutile. Si augura a voce alta che uno di questi giorni un responsabile gli dia un bel calcione nel sedere, quel che si merita. Terrone di merda.