lunedì 26 marzo 2012

per riprendere domani

segno coi baci sette punti sul tuo corpo. da essi, domani, riprenderò ad amarti

ancora sul silenzio


Ancora sul silenzio. Jean Klein racconta in un'intervista come nel corso di un abituale spettacolo Nō il pubblico applauda con veemenza a conclusione delle azioni più memorabili. Ma quando le ultime comparse escono di scena, segnando la fine dello spettacolo, regna il più rigoroso silenzio. È il silenzio che permette al pubblico - e forse anche alle comparse - di rientrare in se stessi. Questo mi pare molto bello e significativo. 

non credere a chi ha paura del silenzio

Lo vedi, si amano, non c’è dubbio, ma ricordano i pezzi sgargianti delle sorprese kinder, che chissà quanto tempo hanno passato da soli al buio nell’ovetto giallo, e aspettano con la tipica avidità della plastica stampata a milioni le mani goffe di un bimbo qualsiasi per combaciare. Una volta assemblati, come coppia e come ditta, possono tenere banco, e ci raccontano in versi questa loro storia, vicenda di esilio volontario dalle luci, in cerca di un eremo campagnolo che è la succursale senza velluto di un teatro. Festeggiano, di continuo, festeggiano noi, festeggiano loro, siamo tutti ospiti. Sembra di stare al compleanno di un condannato. Come posso credere a chi ha tanta paura del silenzio?

venerdì 23 marzo 2012

Ci pensi?

scelgo un bar un po’ più lontano. mi metto in coda, brioche ai 10 cereali (esisteranno davvero? sono chimere della monsanto?) e caffè macchiato: qui lo fanno buono, con tanta schiuma e le tazze un po’ sguaiate, particolarmente disponibili all’abbocco. la glassa che lega i semini della brioche è un benvenuto alle papille decisamente gradito, si frantuma e ritorna ad ogni atto masticatorio, come un ritornello sempre piacevole, tipo ballo del quaqua. Avevo già notato la cassiera, una donna bella, con gli occhi azzurri e le borse di chi è dalle cinque al lavoro. la divisa nera le dona, ha i capelli di un biondo appena ritoccato legati in una coda. tutta la faccia è stanca, ma mantiene il decoro di chi deve tirare almeno fino alle due. Sono a metà del mio caffè quando le si avvicina un avventore, un tipo da un certo ingombro volumetrico che mi costringe a spostarmi e che ordina qualcosa sottovoce. Si avvicina proprio a lei, si sporge, le chiede di fare altrettanto in modo che l’apparato fonatorio di lui le appiccichi questa cosa segreta quasi proprio sulle orecchie. Non lo guardo nemmeno, non mi va di voltarmi, sento solo la sua voce. Ha una parlata appiccicosa, sempre sottovoce, poi tornano eretti entrambi e lui finisce di ordinare, un bombolone, ‘o bombolone, e un cappuccio, ‘o cappuccio. E poi, aggiunge Ci pensi?, ci vuoi pensare? Dài pensaci, tanto io ho già una moglie e due amanti, ma di lavoro ne posso ancora prendere. Io devo girarmi, devo vedere com’è fatto. A ridosso dei sessant’anni, facciamo cinquantacinque, brizzolato sul bianco, naso a patata carnosa, occhiali di metallo, giacca pied-de-poule, jeans nuovi e stretti, scarpe nuove e alla moda. Dalla vita in giù è giovane, anche perché le gambe sono magre. Sopra è muffa. E lei? Ci pensi?, le continua a chiedere. E lei dice Va bene, senza velleità di difesa. È stanca, ha attaccato alle cinque, ma dice va bene, con gli occhi bassi. Mi fa ribòllere1 il sangue (lo scrivo così, alla siciliana, perché il sentimento è genuinamente siculo e per un momento mi viene voglia di fare il Tancredi) il fatto che non gli arrivi da nessuna parte un ceffone. Non è la combinazione che abbia una moglie e due amanti a darmi fastidio (ci mancherebbe, se sono felici tutti non c’è niente di meglio). È l’evidenza che lei sia stanca, lavori, abbia quelle borse gigantesche, e lui se ne fotta, anzi pensi sopra ogni cosa a quietare il tremolio del proprio prepuzio con quest'altro corpo, senza un briciolo né di dignità né di - peraltro ridicola, ma almeno di qualche possibile divertimento - galanteria. Ora che la guardo meglio è proprio stravolta, le guance sembra che stiano cercando un modo per scivolare sotto la mandibola, pur di smetterla con questi assurdi sorrisi faticosi da cassiera. E imbarazzanti. Lui insiste, ancora, fa il satiro. Ci pensi? Va bene, ci pensa, lei dice che ci pensa. e abbassa gli occhi, pensando che alle due, quando torna a casa, deve farsi lo shampoo.
1da rivùgghiere

venerdì 16 marzo 2012

impassibile e infinito

il più grande insegnamento della matematica è che una frazione di infinito è ancora infinito. per questo una forza d’animo, un amore, un sentimento qualunque che sia veramente smisurato, non accetta le riduzioni di un’evenienza, ma continua a dilagare, impassibile e pieno.

lunedì 12 marzo 2012

l'aria è utile

l’aria invece lavora sempre, lo vedi da come consuma il soffitto specialmente, che ora che quasi siamo in primavera spella come un anfibio di smalto. le croste di calce si sporgono, fremono per il solletico della gravità, giocano che facciamo che siamo stelle su un precipizio galattico. Quindi l’aria giova a qualcosa, specie quando inventa e predispone mondi, ed è bravissima a riferire di molecole anche molto lontane. È proprio utile l’aria, a differenza di quel che si crede, specie quando non viene succhiata a tempo, e sciupata per gonfiare dei corpi.

domenica 11 marzo 2012

fiaba


Alto alto. E poi lui per dirle quanto era bella è andato fino in Oriente, si è legato alla cintola un tramonto e gliel’ha portato fin sotto la finestra.





l'immagine è presa da qua

venerdì 9 marzo 2012

l'intervista

“Era un tipetto simpatico, ma aveva poca esperienza. Tra le prime cose mi chiese chi fossero i miei Maestri. Io gli risposi, con qualche esitazione, con i cognomi della mia maestra alle elementari, che stranamente ricordavo meglio, e poi le prof alle medie e al liceo. Di addentrarmi per i meandri dell'università non mi parve davvero il caso, anche se per un attimo il nome del correlatore della tesi mi parve intonato alla sua bizzarra camicia a righe color ocra. Lui pizzicò una bretella facendola vibrare come l’elastico di una fionda a salve e tornò alla carica: - Ma intendo i grandi Maestri, i grandi letterati. Cervantes, Dostoevskji, Flaubert.
- Non oserei - mi ero opposto io.
- Ma tra i moderni, almeno. Pasolini, forse. Almeno Morselli, mi pare un riferimento chiarissimo. Certe sue pagine… -. Le sillabe cominciavano a scarseggiargli. - Io devo pur scrivere qualcosa. Tutti hanno dei grandi Maestri. Tutti fanno sempre dei grandi nomi.
- Be’, allora se proprio devi scrivi Gesù Cristo. Gesù è stato un vero Maestro per me. Infatti ho letto almeno un paio di volte, da capo a fine, i Vangeli, e qualcosa, anche senza volere, devo averla rubata.”

dal racconto Il bamboccione

giovedì 8 marzo 2012

l'homopatico

tiriamo le somme: l’homopatico, detto anche la cura del simile - cioè il mio romanzo ronzino - non è arrivato neppure in finale al calvino. e invece io me l’aspettavo, pensavo che almeno lì. Niente. è ovviamente il caso di farne una tragedia, ma di quelle tragedie risentite e dignitose che mi devastano la cloaca (lo spazio tra la gola e il culo) in questi ultimi tempi. Sono così, per ora: fuori impassibile, dentro marcio. Passerà anche questo. Presuntuoso, un poco, lo sono. Vanitoso pochino, o almeno ci lavoro cotidie. Il mio sentimento è una specie di torta salata e malcotta impastata con delusione e stupore. Ci sono nella pasta bolle di stupore ovunque: un emmenthal che è un miracolo se non esplode. Io proprio, io proprio non mi capacito come il libro non possa piacere. Non ho voglia per ora neanche di sentire la motivazione, l’eventuale scheda che avranno redatto. Dirà le solite cose: la trama non emerge, la narrazione non scorre, il linguaggio è fine a se stesso. Già lauro zumma, esimio talent scout, mi aveva fatto notare con virile garbo l’impubblicabilità del tomo. C’ero rimasto male, ma mi sono detto tanto prima o poi a qualcuno dovrà piacere. E invece no, non piace che non piace. Ma diciamo la verità: la cosa più drammatica sono i clara signa. Cioè i segni, i segnetti, le mie fissazioni nevrotiche che m’avevano annunciato se non il trionfo almeno un’acclamazione: tutti sontuosi treni lanciati lì dove i binari finiscono. E ci sono io, seduto per terra, che li guardo deragliare e perdersi, rovinati. Questa è la cosa terrificante. Perché se non c’è alcun senso, destino, et similia, se io - e quindi anche tu che leggi - non siamo nient’altro che le nostre quattro cose, allora c’è solo quello che vedi, cioè un emerito, squallidissimo niente.

martedì 6 marzo 2012

Il dono levigato

hai curvato uno specchio fino a trasformarlo in ventre. Ora ci galleggi dentro, illusa che questa sia protezione più che sufficiente, e che se tutto s’infrange, all’improvviso, non è il caso neppure di soffrirne perché tanto tutto finisce.
Quell’altra creatura, che non conosce spigoli, gioca come può. È un cortile abbandonato, su cui vigila un riflettore lunare: si riempirà le tasche di polvere e s’imbiaccherà le piccole mani come quelle di un santo che lavora.
Viene, mi porta una delle pietre migliori, scure e levigate fino alla lucentezza. È il suo dono, il mio fardello: un peso adeguato perché lui resti ancora ragazzo.

lunedì 5 marzo 2012

clara signa

me lo ricordo dal de bello gallico (ma come è possibile direte voi che il de bello gallico parli della morte di cesare? e intanto il ricordo s'è aggrumato lì e io mica lo posso scrostare, poi finisce che muore: forse erano state due interrogazioni vicine, non lo so), l'avrò deformato cento volte in memoria, ma mi ricordo che clara signa avevano annunciato al pugnalituro che avrebbe fatto una brutta fine. i corvi, e poi la mattina non si voleva alzare, non ricordo con esattezza, sto mischiando tanti di quei racconti suoi e di altri che non vale neppure la pena rimboccarsi le maniche e seccarsi i polpastrelli di polvere tra uno svetonio e l'altro. fatto sta che a me sono rimasti i clara signa, quei segni impercettibili e chiarissimi che mi danno una mano. dei ching che vengono risucchiati dal vortice di un lavandino, mettiamola così, perché così li vedo. e però io ci credo, il lavandino che si svuota e come si svuota io lo guardo perdavvero. ognittanto. è l'ultimo rimasuglio delle mie credenze, non so neppure se se ne andranno mai, anche se ora passo gran parte del tempo a ridacchiarmela, a svuotare la mia caverna egoica [a proposito, vi prego, seguitemi ancora un po' di là che poi torniamo: sabato ho goduto autenticamente: di seguito su radiotre lezioni di francesco antonioni sugli studi di ligeti - antonioni è bravissimo, altro che bietti che non suona ma zappa il pianoforte e ha la voce e le espressioni di filini, il geometra -, e poi a uomini e profeti massimo cacciari che parla di san francesco: è lui che ha citato la caverna egoica, quindi questa digressione la dovevo]. oggi è il compleanno di mamma. cioè sarebbe stato il compleanno di mamma. finirà che l'associo con lucio dalla, e che ci vuoi fare, è pure normale. siccome sono in fondo superstizioso, come lo era lei, con quella sua religiosità campestre, fatta di altarini di pietra votivi e pagani, con quelle sue preghierine e i riti che non appartenevano a nessuna confessione di preciso, se non quella di una contrada oscura benché abbacinata dal sole - è questo la sicilia, oscura benché abbacinata dal sole, cotta come un mattone di fango e nessuno mai potrà convincermi del contrario perché in quella terra c'ho lasciato molte linfe e qualcuna ne ho pure succhiata -, siccome sono superstizioso per tre volte, per tre volte siamo andati con ale in piazza maggiore e per tre volte i megamplificatori diffondevano le note di cambierò, di lucio dalla, lucio dalla che piaceva tanto a mamma mia (questa è divagazione degregoresca, direbbe filippolaporta ma mi aiuta a chiudere il signum). Al punto che abbiamo fatto un test, per vedere se c’erano solo quelle tre o quattro canzoni nel nastro, e siamo tornati così, all’improvviso, in piazza maggiore, gli abbiamo fatto l’agguato. Ma, ma la canzone era un’altra, prova questa che il Cambierò era un clara signa. Ecco come funziona. Dalla che muore, il suo compleanno, mia mamma il suo compleanno, cambierò: clara signa. Si vede che dovrò cambiare davvero. Ora, siccome io aspettavo una notizia, aspettavo anche un Clara signa che almeno mi anticipasse qualcosina. La notizia però non viene. Non disperare. E però se non viene non viene, siamo quasi oltre tempo massimo. Fose il Cambierò voleva dire che cambierò e non aspetterò più notizie del genere. Cambierò talmente che quel cambiamento che aspettavo, quella trasformazione radicale non mi dovrà mai più riguardare. Ok, sono pippe. Mi fermo qui con buona pace di Cesare e soprattutto di Filippolaporta. 
E pazientemente, questo senso di attesa è meglio che lo sgrani come le reti un pescatore, alla sera, con le gambe lunghe e la schiena dura, spalle al paese, e lo lasci riposare per quello che è: fili intrecciati e avanzi di mare da togliere.

venerdì 2 marzo 2012

l'ultimo scrigno è un mollusco

in quello stato sospeso non trovavi nessuna delle due sillabe pertinenti. come uno scioglilingua arrugginito ti inceppavi ora sul sì ora sul no, mentre al fondo sentivi che il decidere non è un privilegio che ti sia mai spettato. E così hai aperto al mare la tua casa, lasciando che s’inondasse nel fragore della volontà altrui, scippandoti i colori umani che ancora conservavi, sospingendo il tuo piccolo respiro fino alle soglie di un mollusco, l’ultimo scrigno che ora ti rimane