martedì 21 febbraio 2012

La proposta dell'ombra


Gebren
-
E qui finisce ogni cosa.
Anhel
-
Persino la sabbia è più fine. Si arrende.
G.
-
Già.
A.
-
Perché ha capito.
G
-
Ha compreso.
A
-
Cosa ha compreso?
G
-
Che oltre il punto in cui siamo seduti non c’è più nulla.
A
-
E allora si ritrae.
G
-
Si arrende. Forse è un posto pericoloso.
A
-
Lo vedi quello?
G
-
Cosa?
A
-
Quello.
G
-
È una torre.
A
-
È un’ombra lunga. Assomiglia alla tua casa.
G
-
Che dici? È solo una lunga ombra.
A
-
Un’ombra che qui non arriva.
G
-
Anche lei si arrende.
A
-
L’ombra arriva, del resto, dove arriva la luce.
G
-
Se non c’è luce non c’è ombra neppure.
A
-
È una cosa evidente.
G
-
E quello, quello lo vedi?
A
-
È un cane.
G
-
È l’ombra di un cane.
A
-
Rimane distante, ha paura.
G
-
È prudente, preferisce non arrivare fin qui.
A
-
Tu cosa hai portato?
G
-
Ho portato quanto avevamo stabilito. E tu?
A
-
Anch’io, io ho portato quanto era stato stabilito. Ma facciamo in fretta.
G
-
E perchè?
A
-
Non respiro bene, non vedi che ho l’affanno?
G
-
Sì, da un po’, sei tutto rappreso. La tua cassa toracica diventa striminzita ogni momento di più.
A
-
È una cosa mostruosa.
G
-
Non più di tanto, ci si abitua. A me non dà fastidio.
A
-
A me sì, però! Che discorsi. Guarda che fatica che faccio a respirare.
G
-
Facciamo in fretta, allora. Più in fretta facciamo prima ce ne andiamo.
A
-
Prima ce ne andiamo prima torniamo dov’eravamo prima. Tutti e due.
G
-
Certo.
A
-
Una bella cosa.
G
-
Certo.
A
-
Una cosa confortevole.
G
-
Ovvio.
A
-
Un luogo conosciuto, dove tutti ti conoscono.
G
-
Sì, quasi tutti insomma.
A
-
No, proprio tutti.
G
-
Tranne a quelli a cui non interessi.
A
-
Ma sono pochi.
G
-
Dici?
A
-
Certo, pochissimi.
G
-
Tu a chi interessi?
A
-
A tutti, più o meno.
G
-
Beato te.
A
-
Dico tutti quelli più importanti.
G
-
Ovviamente. Quelli più importanti per te. Tua moglie.
A
-
Non ho moglie, non lo sai?
G
-
Ero convinto di sì. Avrai una compagna.
A
-
Neppure.
G
-
Sei un bell’uomo.
A
-
Ti piaccio?
G
-
Non dico questo.
A
-
E cosa dici allora?
G
-
Che sei un bell’uomo, gradevole a vedersi. Hai un bel profilo.
A
-
Ho delle brutte mani.
G
-
Che significa questo?
A
-
Significa quello che ho detto.
G
-
Avere delle brutte mani che c’entra col non avere una moglie?
A
-
Certo, non c’entra hai ragione. Guarda, le trovi brutte?
G
-
La destra è la più brutta delle due, effettivamente. Ma la sinistra è più gentile, sembra più affusolata, meno ordinaria.
A
-
Lavora meno.
G
-
Le mie lavorano allo stesso modo.
A
-
Come è possibile? Sei ambidestro?
G
-
No. Ma faccio il possibile per farle lavorare alla stessa maniera. Non è difficile.
A
-
La trovo una cosa impossibile.
G
-
Devi semplicemente metterci attenzione. Oggi che giorno è?
A
-
Non lo so.
G
-
Poniamo sia martedì.
A
-
Non è martedì, di questo sono sicuro.
G
-
Come fai a saperlo, hai appena detto che non lo sai.
A
-
Il martedì sono irascibile, e oggi non sono irascibile.
G
-
Come sei oggi?
A
-
Insulso.
G
-
Oggi mi sembri semplicemente impaziente. E che giorno sarebbe, quindi, col tuo calendario?
A
-
È possibile che sia un giovedì. Il giovedì sono insulso, ma il venerdì prendo più sapore.
G
-
Più odore.
A
-
Cosa?
G
-
Niente.
A
-
Cosa hai detto?
G
-
Assolutamente niente. Era solo per fare rima.
A
-
Tu hai detto odore. Ho sentito benissimo!
G
-
Sapore, odore. Una rima, una innocua rima.
A
-
Vuoi dire che puzzo?
G
-
Hai completamente frainteso. Io ho questa cattiva abitudine delle rime. Quando uno parla, io faccio la rima. A volte mi succede.
A
-
Non ci credo.
G
-
Credici. Lo faccio da quando ero bambino. Stavamo parlando delle mani. Vedi che è la stessa cosa... Io il martedì - poniamo che oggi sia martedì - faccio qualcosa, per esempio mi lavo i denti con la sinistra. Domani, che è mercoledì, mi ricordo di farlo con la destra.
A
-
Effettivamente è la stessa cosa.
G
-
Cosa?
A
-
Questa cosa delle mani e delle rime. Fai rimare ogni cosa con le due mani. E tutto torna.
G
-
Allora mi credi.
A
-
Per le mani?
G
-
Per le mani e per le rime.
A
-
Sono la stessa cosa, effettivamente.
G
-
Allora cominciamo?
A
-
Se vuoi.
G
-
Tu cosa hai portato?
A
-
Quanto avevamo stabilito.
G
-
Prendo la merce allora, così facciamo tutto. È dentro quella scatola.
A
-
Non occorre, mi fido.
G
-
Ma dovrai pur vederla.
A
-
Ti dico che non occorre. Perché dovrei vederla? Tu l’hai già vista?
G
-
Certo, l’ho acquistata personalmente, e l’ho preparata io stesso.
A
-
Ti ha aiutato tua figlia?
G
-
Sì, come al solito.
A
-
L’hai portata con te in bottega?
G
-
Viene sempre, dopo la scuola. Mi aiuta.
A
-
È un bell’aiuto.
G
-
Certo che lo è. Sta crescendo bene.
A
-
Farà il tuo mestiere?
G
-
Non lo so. C’è il maschio per questo. Il nostro è un mestiere troppo faticoso per una ragazza.
A
-
Ma il maschio quanto ha, cinque anni?
G
-
Cinque da compiere.
A
-
Una benedizione.
G
-
Veramente.
A
-
Però a cinque anni è troppo piccolo.
G
-
Certo che è piccolo!
A
-
E allora c’è la tua ragazza che ti aiuta.
G
-
Per ora mi aiuta e impara il mestiere. Poi sarà lei a decidere cosa fare.
A
-
Sta crescendo molto bene. E tu cosa vorresti per lei, che si sposasse?
G
-
Perché no, certo.
A
-
Che facesse un buon matrimonio?
G
-
Mi pare logico. Sono un padre.
A
-
Che sposasse un mercante come te, come me?
G
-
Non lo so, la moglie di un mercante ha spesso il letto vuoto.
A
-
Ma la casa è piena!
G
-
Non nego che di questi tempi è un buon lavoro.
A
-
E tua moglie, allora? Tua moglie non è felice di averti sposato?
G
-
Certo che lo è.
A
-
E allora che dubbi puoi avere per tua figlia?
G
-
Perché insisti tanto? Ci penserò quando sarà il momento. La vuoi vedere o no?
A
-
Chi?
G
-
La merce, la vuoi vedere o no.
A
-
Ti ho già detto che non occorre. Io mi fido ciecamente di te.
G
-
Come vuoi, anche se mi sembra una cosa insensata.
A
-
Perché, non sei un mercante onesto?
G
-
Certo che lo sono!
A
-
E allora non è insensata. Ci conosciamo ormai molto bene noi due. Si direbbe da sempre.
G
-
È una frase fatta.
A
-
È un modo di dire.
G
-
Va bene, ho capito. Prendi la tua merce, così chiudiamo gli affari e ce ne torniamo a casa. Mia moglie mi aspetta.
A
-
E tua figlia. Tua figlia non ti aspetta?
G
-
Lei è a scuola, adesso.
A
-
Ma stasera, dopo mezza giornata di viaggio, stasera non ti aspetterà?
G
-
Suppongo di sì.
A
-
In bottega.
G
-
Può darsi.
A
-
Ha già le chiavi della bottega, quindi.
G
-
Le tiene sua madre. Adesso fammi vedere la tua merce.
A
-
Come? Non ti fidi?
G
-
Che c’entra. Mi fido ma mi fido molto di più dei miei occhi.
A
-
La fiducia ha dunque molte sfumature.
G
-
Io credo di sì.
A
-
Per me non va a questo modo. O ci si fida o non ci si fida. O bianco o nero.
G
-
Per me è diverso. Vuoi portare a conclusione questo affare o no?
A
-
È diverso, ora che hai detto questa cosa.
G
-
Quale cosa?
A
-
Questa della fiducia. La tua fiducia dovrebbe rimare con la mia.
G
-
Che cosa stupida.
A
-
Perché è stupida?
G
-
Perché per i valori le rime non c’entrano. È tutta un’altra cosa.
A
-
Non capisco.
G
-
I princìpi, i valori, sono delle cose diverse dalle rime.
A
-
E anche diverse dalle mani?
G
-
Certo.
A
-
Perché ti appartengono meno?
G
-
Meno di cosa?
A
-
La fiducia, la fedeltà, sono cose che ti appartengono meno delle mani?
G
-
Che diamine, fai dei discorsi insulsi!
A
-
Allora oggi è giovedì.
G
-
Cosa?
A
-
Se faccio discorsi insulsi oggi è giovedì.
G
-
Non dovresti fare affari il giovedì.
A
-
Non sapevo che oggi era giovedì.
G
-
Dovresti capirlo ormai da come ti senti.
A
-
Ma ho bisogno di parlare con qualcuno per capire come mi sento.
G
-
Capisco, è naturale.
A
-
Non basta guardarsi allo specchio, la mattina, per dire oggi mi sento insulso, oggi sono irascibile. Non basta.
G
-
Perché allora non ti fai una famiglia?
A
-
Una donna, dici?
G
-
Si comincia così.
A
-
Una donna, poi un figlio, un altro figlio. Un cane, magari. Un cane come quello.
G
-
Quello non è un cane.
A
-
È l’ombra di un cane. Fa lo stesso.
G
-
Per te è tutto equivalente.
A
-
Perché l’ombra di un cane dovrebbe avere paura? Ti dico che quello è un cane vero, pelle e ossa.
G
-
Puoi anche fare a meno del cane.
A
-
Ma una donna ci vuole.
G
-
Certo, ci vuole per tutti una donna.
A
-
Proprio per tutti?
G
-
Certo.
A
-
E dove sta scritto?
G
-
Dove non saprei dirti di preciso. Ma sta scritto.
A
-
E anche se sta scritto?
G
-
È un fatto naturale. Prima di essere stato scritto da qualche parte, un codice, un libro, è sempre stato un fatto naturale.
A
-
Non mi convince.
G
-
Ma perché ti do ascolto? Prendi la tua merce, se vuoi concludere l’affare. Mostramela e se siamo d’accordo concludiamo.
A
-
Così te ne torni a casa.
G
-
Oggi non vuoi concludere nessun affare, oggi vuoi soltanto parlare.
A
-
Parlare.
G
-
Vuoi perdere tempo. Tu hai del tempo da perdere, io no.
A
-
Perché hai una famiglia.
G
-
Anche, certo.  Mi hai fatto venire fin qui.
A
-
Per niente.
G
-
Per niente, infatti. Ho indovinato, non hai nessuna merce. E volevi fregarmi.
A
-
Non ho nessuna merce, ma non volevo fregarti
G
-
E la cassa allora, cosa c’è dentro?
A
-
Dei doni.
G
-
Dei doni?
A
-
Sì, per tua figlia.
G
-
Ho capito tutto. Scordati di fare affari con me, in futuro. Non mi piace la gente disonesta.
A
-
Non sono disonesto.
G
-
Sei un uomo disonesto. Forse non sei neppure un uomo. E vorresti anche mia figlia?
A
-
Tu stesso hai detto che avrei bisogno di una donna. E lei è molto bella.
G
-
Schifso. Io vado, e non mi seguire. Stammi lontano. Fai un’altra strada.
A
-
Non ci sono altre strade per la città.
G
-
E allora parti dopo di me. Mezzora dopo di me, così avrò il tempo di tenerti a debita distanza.
A
-
Eppure lo sai che è impossibile.
G
-
Cosa è impossibile?
A
-
Devo tornare per forza con te, non posso tenermi a mezzora di distanza.
G
-
E perché mai? Non hai gambe tue?
A
-
Non l’hai notato?
G
-
Cosa?
A
-
Alza una mano.
G
-
Quale?
A
-
Quale vuoi, la destra.
G
-
Fatto.
A
-
Ecco.
G
-
Cosa?
A
-
Ecco che ho alzato la sinistra.
G
-
E allora?
A
-
Alza l’altra mano.
G
-
Fatto, ma cosa vuoi dimostrare?
A
-
Ecco che ho alzato la destra. Piega la testa, da un lato, dall’altro. Tenermi a mezzora di cammino? Torniamo insieme, fai il bravo. Vedrai, con le luci della città ti sembrerà tutto molto diverso.
G
-
Non è bene star qui. Torniamo.
A
-
Non è bene. È un posto pericoloso.





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