Sono col cane, attraverso la strada per entrare in uno dei bar in cui solitamente prendo il caffè nel giro mattutino. Il bar è gestito da marito e moglie, entrambi bolognesi. Si direbbe abbiano passato entrambi i quarantacinque. Lui è calvo, con i denti leggermente sporgenti che gli danno l’aria di un serpentello. Lei è bionda con gli occhi di un azzurro acceso, e dai discorsi che le ho sentito fare deve avere un bel caratterino. Quando lavora da sola ascolta musica da discoteca, sebbene a basso volume, e la canticchia anche. Radio Deejay è la sua stazione preferita. Parla sempre di serate, di feste, e di “gran balotta”, che è il modo che hanno i bolognesi per indicare il divertimento ma quello vero, quello un po’ pazzo. L’altra volta c’era una cliente con l’iPad e lei sembrava molto interessata, come status symbol più che come oggetto tecnologico. Chiama tutti “avvocato” – il Tribunale è praticamente di fronte –, o prof, o con altri titoli a seconda del caso. Io comunque ci vado perché è di passaggio e il caffè quattro volte su cinque è molto buono, spesso con un retrogusto di mandorle amare, che a me piace molto e che mi lusinga la bocca per alcuni minuti.
Ci sono andato anche l’altro giorno, che era l’8 marzo. L’8 marzo è la festa della donna, questo lo sanno un po’ tutti, specialmente i maschilisti più violenti che non vedono l’ora di acquistare e distribuire quanti più mazzi possibile di mimose. Inutile dire che, come in qualunque altra città italiana, le code ai semafori e gli angoli delle strade si riempiono di ambulanti improvvisati – magari lavavetri fino alla sera prima – che cercano di piazzare il loro striminzito omaggio da 3 o 5 euro.
C’è un tipo, a occhio un marocchino, vecchissimo, talmente incartapecorito da forse cinquant’anni di mestiere per le strade da sembrare finto, che i bolognesi conoscono molto bene. Non so come si chiami, o se qualcuno gli abbia dato un simpatico nomignolo. Tutti però di vista lo conoscono, perché solitamente si aggira per le strade carico come un cammello di oggetti di ogni specie, indumenti, ombrelli, guanti, ninnoli. Ti si avvicina e ti chiede: “Guanti? Calzi? Umbrelli? ‘ccendini?”.
Il giorno della festa della donna è naturale che si adegui, e così fa capolino dalla strada anche sul caffè. “Mimosi, mimosi?” chiede proponendo la merce con un gesto brusco. È indeciso se entrare, soprattutto perché c’è Pamina, cioè il mio cane. Gli arabi detestano i cani perché li ritengono impuri. Da quando sono a Bologna mi è capitato non poche volte di vedere donne musulmane saltare letteralmente dalla paura alla vista del mio modestissimo canide, mentre i loro più virili compagni si allontanavano in fretta dichiarando di essere gravemente allergici al pelo del mio irsuto amico.
“Occhio che ti mangia, sai?”, gli fa il padrone del bar, ridendosela.
“Mimosi? Mimosi?”, continua quello, come se non avesse sentito. È un po’ spaventato, ma deve provarci, è più forte di lui.
I baristi e gli avventori, me compreso, lo guardiamo e sorridiamo, con malizia. È come se fosse un animaletto, e Pamina invece fosse umana, e fra l’altro tra gli umani buoni. Mi stanno per venire in mente certi dobermann neri, ma poi mi viene servito il caffè e ne sono entusiasta: è caldo, e profumato.
Finalmente il marocchino desiste. È molto piccolo, è un uomo davvero minuscolo. L’ho sempre visto carico di mille cose, ma ora che non ha con sé che quattro o cinque mazzolini assomiglia più a un uccellino che a un uomo. Un uccellino bruciacchiato dal sole, con una specie di piccolo fez in testa, appollaiato su un fantasioso albero di mimose.
Appena si leva dalla vista i due cominciano a rimpallarsi alcune battute, del tipo "Certo che loro alle donne ci tengono, eh se ci tengono!". "Come no, da loro la festa delle donne è festa nazionale". Tutti noialtri annuiamo. “Comunque è uno che ha l’anima per il commercio. Se piove vende ombrelli. Se fa freddo sciarpe. È un genio”. L’altra dice “Com’è che lo chiamano, com’è che lo chiamano?”. “Comprami, anzi cumprami. Quello è uno che vende di tutto”. Ridono, ridono con un disprezzo che mi fa chiedere, in silenzio, quanto abbiano capito io da dove vengo. “Ah, quelli lì, coi cani, neanche fosse il demonio. Chissà poi perché”.
Una vecchia signora su cui il chirurgo per risparmiare deve aver usato l'attack anziché il collagene e che il parrucchiere circuisce spudoratamente da decenni mi chiede se può dare un pezzetto del suo cornetto al cane. Io ormai non mi oppongo più: “Faccia pure”, le dico “purché non ci sia ripieno”.
Il barista stravede per il mio cane, come quasi tutti i bolognesi. Dice che sarebbe un ottimo cane da tartufo, che mi farebbe fare i milioni. È un discorso che mi ha già fatto, ma non ricorda. Forse lo fa ogni volta che vede un quadrupede al guinzaglio, più o meno come Gatto Silvestro vedeva in Titti un pollo al forno già rosolato. Ogni volta aggiunge anche una cosa che deve aver letto da qualche parte: “Sai quali sono i migliori cercatori di tartufi? I maiaali!”. E si sbocca tutto per dirlo, perché il maiale è un animale speciale, onnicomprensivo, sacro in una maniera lercia, ma sacro. Poi spiega sempre che però i maiali non vanno bene perché i tartufi se li mangiano.
L’altra volta gli ho inventato che ho provato a farle fare la cerca, ad addestrarla anche, ma che poi i tartufi se li mangiava e allora niente. La storiella l’aveva divertito, ma questa volta ho un altro umore, e gli dico che comunque per addestrarli correttamente bisogna essere molto duri con loro, e che io sono contro ogni forma di addestramento coercitivo. Lui conviene, aggiunge che sì, lo sa, bisogna lasciarli di fame, dargliene anche, tenerli isolati nelle gabbie. Ha una faccia così sconsolata che per un attimo gli credo.
Pamina è quella che è, quindi la signora del cornetto e dei capelli color pappagallo va in sollucchero per le feste del cane. Sono tutti contenti, il barista aggiunge che “Quello lì è proprio un gran cane”.
Esco, saluto tutti. Si era creato un clima di conviviale complicità, sembrava di stare tra metronotte al rientro dal giro notturno, ma l’entusiasmo si stava spegnendo. L’ho capito e sono andato in strada. Il marocchino avrà svoltato l’angolo da un po’. Io ho un ottimo sapore di caffè in bocca. Dico qualcosa di superfluo al cane, che avrà capito sì e no le vocali, e riprendo il giro, pensando che una mimosa, e neanche un milione, hanno mai fatto primavera.