martedì 21 febbraio 2012

Io ti voglio felice

Io ti voglio felice.
Anch’io mi voglio felice.
Ne sei certo?
Certo che ne sono certo! È perfino banale.
Non credo, stai attento a dire queste cose. È più facile volere il bene degli altri che il proprio.
Che assurdità! Tutti vogliono il proprio bene. Sta scritto anche nei libri: Ama il prossimo tuo come te stesso. Si dà per scontato che ci si ama.
Tutti?
Tutti, indistantamente. È una cosa di natura.
Ma l’uomo non è tanto naturale.
L’uomo non è naturale? Oggi vuoi stupirmi con i tuoi paradossi.
Non voglio stupire nessuno, nessuno, e soprattutto non voglio stupire te. Ti volevo mettere in guardia.
In guardia?
Certo. Volevo metterti in guardia da chi non vuole che tu sia felice.
Come chi, per esempio?

Come quelli che frequenti in mensa. Parlate così animatamente. Sembra proprio che litighiate, certe volte.
Discussioni. E comunque dal mio punto di vista nessuno vuole che io sia felice, perché ognuno può volere solo una felicità. E guardacaso è sempre la propria.
Una volontà, una felicità. Se fa rima un motivo ci deve essere.
Infatti.
Comunque si dà il caso che io voglia che tu sia felice.
Allora mi provochi, e io ti rispondo che non ti credo, perché questo non è possibile.
Perché mai?
Perché tu stesso l’hai detto: una volontà, una felicità. Non di più.
E non potrebbe darsi il caso che io voglia proprio la tua felicità e nessun’altra?
No davvero.
Perché mai?
Perché saresti un paradosso. Un mostro. Un uomo innaturale.
E infatti per questo ti dicevo che non penso che l’uomo sia naturale del tutto.
L’uomo è naturale al cento per cento e se capita, come tu vorresti farmi credere, che non voglia la propria felicità, allora questo è un mostro, dal quale stare a debita distanza.
Allora me ne vado.
Prima controlla il lavoro.
Non ha alcuna importanza. Se vuoi che resti devi convincerti che io voglio la tua felicità. 
Sono alla macchina da questa mattina alle cinque. Avresti il buon cuore di controllare il numero dei pezzi e mettere una firma sul foglio? 
No.
È un ricatto.
Pensala come vuoi.
È un ricatto bello e buono. Sì, va bene, tu vuoi che io sia felice. E io devo stare in guardia da chi non vuole la mia felicità. Ora controlla e firma, così me ne vado.
L’ho anche detto al padrone.
Cosa?
Gli ho detto: Io voglio che Mir sia felice. È la cosa più importante.
È perché gliel’hai detto?
Me l’ha chiesto.
Ti ha chiesto se tu volevi…
Prima mi ha detto: Caro Alex noi vogliamo che tu sia felice. Poi ha aggiunto: Anche tu, è vero?, vuoi che Mir sia felice?
E tu?
Io ho risposto di sì, naturalmente, proprio con queste stesse parole.
Sei stupido.
Come ti permetti?
Mi permetto perché anche tu sai di esserlo. Ti ha ingannato.
Non è possibile.
Ti ha ingannato, ti dico. Lo fanno sempre.
E invece ti sbagli. Ragioni come un antenato. Guarda qui.
Che cos’è?
È un buono.
Un buono?
Già, un buono acquisti. Ci posso comprare quello che voglio.
S’intende. 
Lo vorresti anche tu, eh?
Io voglio solo che tu metta la firma e mi lasci andare a casa.
Ci posso comprare quello che voglio.
E questa sarebbe la felicità?
Perché no? Un pezzettino di felicità.
La felicità non si compra.
Ma io la sento, proprio qui nel petto, sento di essere felice. E poi è un regalo, ci posso comprare quello che voglio.
Anche lui, a quanto pare, ci può comprare quello che vuole.
Che vuoi dire?
Niente che tu possa comprendere, a quanto pare.
Posso spenderlo dove voglio.
Ovunque?
Sì, praticamente sì. 
Ne sei certo?
Sì, c’è una lista di negozi, è qui dietro.
Leggi, mentre pulisco la macchina.
Cosa?
Leggi la lista dei negozi.
… Kabor, Labor, Mabor, Fabor, Zabor
Non noti niente?
No, cosa?
Sono tutti negozi del gruppo Lavor.
E allora?
Sono tutti negozi che appartengono all’azienda per la quale lavoriamo.
E allora, che c’è di male?
Niente, proprio niente. Anch’io ti voglio felice.

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