giovedì 5 gennaio 2012

loading - episodio 11. La gatta di casa


Gli uomini continuano a parlare, alimentando un rumore di fondo indistinto. Vorrei sapere di più, forse anche partecipare o almeno capire se potrei farlo, ma ogni volta che mi avvicino le parole risultano incomprensibili, come un cristallo di neve che si liquefacesse al mio approssimarsi. Comincio a pensare che parlino una lingua straniera e che certe parole suonano simili per una specie di inganno. Rovisto in quella piccola folla considerando i volti carte di un mazzo sparpagliato, un mazzo di carte vive e insubordinate che hanno appena scoperto di poter esistere al di fuori di un gioco prestabilito. C'è dell'eccitata spavalderia, in loro. Qualcuno ha il dorso rosso, qualcuno blu: si voltano un poco, per mostrare agli altri a che fazione appartengono, quindi riprendono a dirsi quel che avevano sospeso per un momento. Picche, cuori. Il re, il re governa ogni cosa, è a lui che alla fine dovranno chiedere di redigere il risultato. Da quello che avevo giudicato solo uno spiraglio, sulla destra, in fondo, e che invece è una porta vera e propria, viene fuori qualcuno. Due lunghe gambe nude e muscolose, levigate e lucide, ferrate alle estremità da un paio di sandali dal tacco sottile e vertiginoso, sbucano come una chimera dalla sua tana. Nonostante da sole siano del tutto umane e perfette, un attimo dopo quelle gambe sembrano appartenere a uno struzzo, perché è l’insieme, è il resto di ciò che subito compare dalla soglia che le fa apparire così. La ragazza indossa ancora quell’assurdo gilet di pelliccia, che ora sembra ancora più gonfio e grottesco, e la fa apparire sgraziata e insolente in parti più o meno uguali. La testa è senza espressione, e non sembra accomunata a uno solo dei dettagli che l’hanno preceduta. Al di là di quell’avanzo di animale morto, e dei sandali, non indossa altro. Con i tacchi inchioda ad ogni passo la moquette lurida dell’insolita passerella che qualcuno ha srotolato chissà quanti decenni fa, forse per la visita di un ospite di riguardo, e l’incedere lascia segni che sembrano quelli di un minuscolo predatore o di un piccione dalle dita amputate. Nessuno, indifferente a uno qualsiasi dei tanti motivi che riterrei ragionevoli, si cura di lei. Neanch’io, del resto, mi meraviglio di incontrarla ancora. Stretta nel suo pittoresco non-abbigliamento si aggira per la sala, senza cercare l’attenzione di qualcuno in particolare. Neppure io, ora, le interesso. Si rivolge chiaramente alle cose. Ha in mente un oggetto, e lo cerca come si cercherebbe una foglia dal profilo ben preciso in mezzo a una foresta, senza pretendere cioè che possa servire altro che la fortuna. Ma lei è forse il tipo da fortuna sfacciata, ed è per questo che non smette di cercare. Così, muovendosi con un leggero e svogliato movimento delle anche, propizia la buona sorte, e traccia delle traiettorie elicoidali che avviluppano i tavoli e le sedie, e i contenuti umani che incidentalmente li arredano. Come una gatta di casa nessuno si cura di lei, mentre spruzza da sotto la coda i suoi odori, e si soddisfa di qualche contatto accidentale, ma tutti sanno che c’è, e ne traggono una gran piacere.
Passa anche dalle mie parti, e io rimango volutamente fermo, immobile, e forse mi auguro di sembrarle una cosa anch’io, un oggetto a sua completa disposizione e, chissà, magari anche utile. Inspiro più forte, vorrei risucchiarla, almeno un poco, almeno qualche sua cellula superficiale. Uno di quei capelli mi basterebbe, uno di quei sottili capelli impigliato tra le punte sul mento che poco fa, quando non sapevo se entrare o meno, mi hanno quasi cartavetrato il polso. Ma come un asteroide che ha ben altre vastità da esplorare non cade nella mia orbita provinciale. 
- Salve - provo così a riagganciarla, sperando nel brusio di sottofondo per evitare scene patetiche.
- Ora ci diamo anche del lei?
- Ciao, allora. Cerchi qualcosa?
- Le chiavi.
- Di cosa?
- No, nessuna chiave. Come hai fatto a crederci? Vedi case, auto, motociclette?
- Ci saranno delle cabine, da qualche parte. Potevano essere le chiavi della tua cabina.
Mi guarda, come un animale che sente un rumore nuovo, artificiale, e inclina la testa stupito delle inaudite frequenze. - Cabine? Quello che vedi è tutto. Non c’è altro a bordo. 
- E dove passate la notte, allora?
- Questa che stai passando adesso, qui, non è notte, percaso?
Mentre mi parla finge di essere ancora più indaffarata, e usa la mano come fosse un piccolo rastrello, rimestando di qua e di là, tra alcuni oggetti alla rinfusa. A un certo punto ci mette quasi veemenza, perché forse mi vede tra quegli oggetti, e vuole spostarmi di forza. Ci sono molti aggeggi metallici, sembrano misuratori, e anche specie di microscopi o visori. Ghiere, piccole ghiere ovunque. È da quelle che sembra particolarmente interessata. 
- Io credevo che stanotte si trattasse di un caso eccezionale.
- Si vede che sei in cerca di eccezioni

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