venerdì 23 dicembre 2011

Loading - episodio 10. L'ultima sedia

Così quello è il capitano. È come dovrebbero essere tutti i capitani, dotato di barba, maglia a collo alto di lana grossa, naso lungo e sottile, occhi che comprendono ancor prima di aver visto. Ma io non devo essere - volutamente - entrato nel suo orizzonte. Ho fatto un bel tonfo entrando, eppure nessuno si è girato. Stanno a un tavolo, parlano, bevono, due o tre stanno anche mangiando qualcosa, lo capisco dal rumore di posate a tratti molto operose. La prima cosa che vedo sono i bicchieri, di latta lucente. Sopra il tavolo un lampadario da cucina spartana, con il piatto anch’esso di latta, che oscilla leggermente mescolando la luce cremosa emanata dalla grossa lampada appesa sotto. Mi viene appetito, mi avvicino, cerco di richiamare la loro attenzione. In un angolo c’è il marinaio che mi ha accolto, ma adesso è tutto avvolto in una vecchia coperta, allungato su una sedia con gli occhi chiusi. È questo il suo sonno abituale, si vede. Non ci sono brande?, mi chiedo. L’atmosfera nel complesso è allegra ma avvicinandomi percepisco delle parole che suscitano qualche tensione, si parla forse di un errore nella rotta, di un guasto alla strumentazione, di un problema tecnico. I sorrisi che vedevo appena entrato, da vicino sono più delle smorfie di inquietudine. Il capitano ha alzato un momento gli occhi su di me. Gli è bastato uno sguardo dalla cintola in su per capire che razza d’uomo sono. Non devo averlo interessato, perché ha ripreso immediatamente i suoi discorsi senza neppure bisogno di pensare a dov’era arrivato. Gli altri lo hanno imitato e fanno come se non ci fossi. Io ne approfitto per curiosare tra gli avanzi dei loro piatti con l’impertinenza di un randagio. 
La sala in cui mi trovo assomiglia a un salone. Qui gli uomini mangiano, passano gran parte della giornata e, a quanto pare, anche della notte. C’è un odore di carta bruciata che copre quasi del tutto il salmastro. In una specie di credenza sono affastellati centinaia di documenti. Da come sono disposti si direbbe siano caduti forse più di una volta, e che qualcuno li abbia sistemati alla rinfusa, come una valigia dell’ultimo momento. Nel piccolo tavolo di fronte a quello grande sono poggiati alcuni strumenti. All’improvviso, mentre credo di essere ormai svanito nel nulla, sento una voce netta e pungente che si rivolge chiaramente a me e mi aggancia come un grosso amo metallico: - Non li tocchi -. Non c’è alcuna tensione, ma il capitano vuole essere certo che quell’eventualità, che forse qualche mio gesto aveva ventilato, non si verifichi in nessun caso.
- No, certo - dico senza avere il tempo di prepararmi per quella mia prima emissione di voce in pubblico. Riavvolgo i miei passi e mi allontano cautamente da ogni tavolo. Ora cerco una sedia, e stranamente non ne trovo a disposizione. Ce n’è solo una libera, ma si trova a due posti alla sinistra del capitano. Dopo qualche incertezza quella sedia diventa la massima cosa cui abbia mai ambito. La vista della sua seduta lucente, concava, accogliente, è ormai un richiamo. Comincio a immaginare tutti i possibili percorsi che mi potrebbero portare ad essa. Fantastico sulla sensazione che proverei a starci seduto. Non vorrei in nessun caso distrarre il capitano, o infastidirlo, o nuocere in un modo qualsiasi alla sua conversazione, ma temo ogni momento di più che l’unico modo per raggiungere quella sedia sia passargli davanti.

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