Io spero adesso che quello che vedo, così com’è venuto, sparisca. Anche se dovesse tornare il deserto. Ma la scena è persistente, ed è il caso che mi ci rassegni. Cosa ci fa quella specie di femme fatale in tanga e gilet di pelliccia? Mi sta guardando, è ovvio, cerca la mia attenzione. Eccola, si alza, con un fare gattesco che più che trovare seduttivo mi sconcerta. Ha gli occhi puntati su di me, mi rivolge la parola, io ancora non sento. Dice Mare, mare. Mi prende per mano, mi conduce attraverso asciugamani e resti di picnic a base di corpi umani, percepisco il loro sudore ovunque, le loro puzze che salgono come dai fornelli di una bettola seminterrata. La consistenza delle sue dita assomiglia a quella di una barbie, dita di plastica, scivolose, prive di articolazioni. Con il pollice le scansiono, avanti e indietro. La assecondo e la seguo come un carrellino attaccato a una strana creatura, metà unicorno metà somaro, che potrebbe portarmi ovunque. Qualcun altro mi osserva, un uomo taciturno, seduto sulla sua stuoia, l’unico tra la folla inerte che sembra dotato di una qualche volontà. Assiste al triste spettacolo e aspetta che io faccia qualcosa. Mare, mare, continua a ripetere con voce suadente la mia padrona di plastica. Gli occhi di lui mi puntano, stanno cercando dentro di me qualcosa, una conferma. Ora so che mi stava cercando, che mi aspettava.
Ho già i piedi in acqua, un’acqua calda che non apporta alcun refrigerio. La donna si è fermata, ha ritirato la sua mano dalla mia e ora la usa per farmi un cenno: Bevi, mi dice. Vuole che beva l’acqua del mare, che mi inginocchi e ingoi dell’acqua salata. L’uomo si è avvicinato, vuole vedere come mi comporto. Io rimango immobile. Ogni volta che la assecondi, la rendi più forte. È lui che ha parlato, con voce bassissima ma comprensibile. La donna lo guarda, evidentemente si conoscono. Mi accorgo adesso completamente della sua bellezza patinata, ha le labbra e gli occhi vistosamente truccati. Se mi trovassi in un’altra situazione troverei il suo assurdo gilet di pelliccia del tutto ridicolo, o addirittura grottesco. Ma adesso mi fa quasi paura, mi sembra il segno di una bestialità pronta ad esplodere. Ora torna a occuparsi di me, e mi indica la roulotte. Andiamo lì, mi dice, abbassando appena le palpebre in un languore che mi dà i brividi. Io guardo l’uomo, lo fisso per cercare di estorcergli qualche indicazione. Non mi fido di lui, non lo conosco, ma qualcosa mi dice che non ho di meglio a disposizione per decidere. Scrolla appena la testa. Alzo lo sguardo. Il mare è piatto, immobile, come se ci trovassimo sulla riva di un lago poco profondo, ma di cui non riesco a intravedere la fine. La costa è dritta, tesa come un argine, per chilometri e chilometri. Vieni, fa lei. Vieni. Ancora la voce dell’uomo che interviene: Stai attento, la paura è desiderio camuffato.
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