Sabato mattina. Il rito della ricolazione viene celebrato in uno dei miei bar-panetteria-miniristorante preferiti. Per chi non lo sapesse la ricolazione è l’atto di rifare colazione al ritorno dal mio giro con Pamina, più o meno verso le undici (il giro del sabato e della domenica è più lungo e meno mattiniero del solito). La faccio mangiare, aspetto che Ale si faccia (più) bella, indi si va, affamati come un’armata Brancaleone (io e Pamina, intendo, anche se Ale neppure scherza…). Giungiamo in loco, ci sediamo, io ordino quelle due o tre cosette per accompagnare i due tre caffè, caffè macchiati, cappucci, ecc… Non fa freddo, è una mattinata limpida. Dopo pochissimo sopraggiunge una dama, sui settanta, curata assai, con cappello e giacca in lamè, di una sgargiante eleganza che fa tanto Olgiata o, per restare in zona, via D’Azeglio/via Farini. Bella donna d’un tempo, si ostina nonostante l’età ormai del tutto scaduta a non portare calze sotto le scarpe scollate, e mostrare di conseguenza le grosse vene sul collo del piede che tanto - per colore e consistenza - ricordano certe radici assetate. La prima cosa che fa è notare Pamina. Pamina è un cane molto socievole, dolcissimo per aspetto e indole, che non perde occasione per farsi sfruculiare da umani e non. La signora in lamè accarezza il cane, le rivolge un paio di frasi sdolcinate, quindi ci rivolge la parola per chiederci come si chiama. Il riferimento al Flauto magico (Pamina è la figlia della Regina della notte) non lo coglie, ma il nome le piace, le suona bene. Dopo qualche momento rivolge compiutamente la parola anche a noi, degnandoci di più e più sguardi, ma è irrequieta e ordina un punch. Non commenterò il fatto che non siamo a Canazei, che ci sono forse dieci gradi e che sono le undici di mattina: ognuno di fatto è libero di tracannarsi quello che crede quando e dove vuole. Il punch dunque.
La ragazza del bar è un tipo piccolino, con la visiera calata sugli occhi, un tatuaggio che sembra il dettaglio di un dragone sul collo (fantastico che il corpo della bestiola si prolunghi per tutta la schiena) e un accento romano piuttosto marcato. Sarà una studentessa, ieri avrà fatto le quattro e non vuole che le si vedano le occhiaie. Serve tutti di fretta, con la minima gentilezza necessaria. Codesta cameriera prende l’ordine della scintillate signora, ma commette un errore gravissimo perché dopo un paio di minuti porta il punch in una tazza. Una tazza da cappuccino, più o meno. Terribile. Si scatena l’inferno. La vecia va su tutte le furie, s’indispettisce, fa commenti di ogni ordine e grado. Chiede con forza di aver portato il punch in un bicchiere adeguato, accenna persino a sbattere il palmo di una mano anch’essa ricoperta di radici sul tavolino. Sono momenti di fibrillazione, il mio mozzicone di cornetto all’albicocca si è arrestato tra le labbra, Ale fa finta di guardare una rivista ma si vede che non procede di una sillaba e alza il sopracciglio. La vecchia è su tutte le furie, ma ha deciso di dimostrarsi tollerante (tollerante, che parola horrenda!), e ha concesso un’altra chance alla cameriera. Intanto accarezza il mio cane e le fa tante di quelle moine - ma è perché sente l’odore del mio, i cani mi amano, io li amo tanto, sa?, mi riconoscono subito, e via blaterando - che io che la guardo mi sento schizofrenico. La ragazza torna con il punch versato in un bicchiere da rum, cosa che a me sembra un compromesso più che accettabile. Ma non per lei, che deve essere stato il cuore stesso del jet-set bolognese negli anni ‘60. Il tiranno in lamè si rizza in piedi, aggiusta il cappello sui tre quarti e chiede come farebbe un burattinaio malvagio di parlare con la signora Rosa. Non c’è, squittisce qualcuno, ma da molto dietro, forse dalle cucine. Rosa sarà la proprietaria del locale, probabilmente sua collega di bisboccia. Non c’è? Ah, bene, allora tornerò stasera. Perché qui, qui c’è da mettere tutti in riga.
Menomale che ama tanto i cani…
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