domenica 18 dicembre 2011

Loading - episodio 8. Quella strana sensazione

Sono ore che navighiamo, ma l’orizzonte è ancora lì, immobile. È come se qualcosa non funzionasse in quello che vedo. La nave si muove, di questo ne sono certo. Mi sporgo per vedere meglio la poca schiuma lungo i bordi. Mi è impossibile da dove mi trovo andare fino a poppa, ma vedo comunque, alla poca luce che c’è, il biancore spettrale di una porzione della scia. Per un attimo, un solo attimo, penso che se andassimo alla stessa velocità della rotazione terrestre quello che appare ai miei sensi sarebbe possibile. Sarebbe come inseguire un’alba che non arriva, ma poi no, poi capisco che ho fatto i male i conti. Non puoi inseguire un’alba, puoi solo tenerla faticosamente alle tue spalle, come un branco di lupi affamati. È invece tecnicamente possibile inseguire un tramonto, ma comunque i conti non tornerebbero. Ci vorrebbe un jet, non una sorniona imbarcazione che andrà a dieci, quindici nodi al massimo. E poi ricordo perfettamente che era notte, prima, nella roulotte, e il tramonto è per definizione l’inizio della notte, non la sua conclusione. Mentre ricompongo queste considerazioni frammentarie, cercando di ottenere dall’insieme anche un solo dettaglio con cui possa sostenere decentemente una ipotesi, e che mi suggerisca il prossimo gesto, e anzitutto se c’è un gesto qualunque da fare, mi sento trascinato verso l’alto. Un cavo ha portato i miei occhi e la mia testa dove cominciano tutti i cavi, dove le carrucole cigolano e concedono gli spostamenti. Vedo ogni cosa come se fosse in miniatura. La nave è una riproduzione giocattolo, io un omino dai movimenti limitati, solo quelli previsti da articolazioni semplici, il mare una vasca allestita da giocatori fanatici che assistono divertiti alla scena. Ogni singola porzione di questo modello ha non più di due gradi di libertà. C’è un bordo, poco lontano da dove mi trovo, e forse loro sono affacciati a quel bordo, così come io a questa ringhiera sudicia per il salmastro, ma non posso vederli per via del buio. L’idea che a un certo punto, guardando fisso il nero sopra l’orizzonte appena percepibile, ci siano delle sagome, delle teste, dei profili umani giganteschi, mi riempie di angoscia. Sono loro che azionano le pompe che muovono l’acqua e danno l’illusione che sia il rimorchiatore a muoversi. No, non è vero neanche questo. Mi dovrebbe riempire d’angoscia, ma non succede. È la stanchezza la colpa di tutto, anche di questa distanza dalle mie abituali sensazioni. Ho scatole vuote disseminate lungo il corpo e la mente. Scatole che in una condizione del genere si riempirebbero normalmente di angoscia, freddo, paura, inquietudine, rabbia. Ma ora sono troppo stanco, e queste scatoline non riescono a riempirsi, e io mi meraviglio che rimangano vuote. Si negano con le loro esili palpebre di cartone. Sono evidentemente esausto e pochi minuti passati sul ponte mi sono sembrati ore. Devo decidermi ad andare sotto coperta, anche se non sento freddo. Sono stanco anche se le gambe non mi si piegano affatto. Mi devono offrire almeno un caffè e delle ragionevoli spiegazioni. 

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